Kino no Tabi - The Beautiful World: Recensione

Se qualcuno mi chiedesse, "Perché viaggi?". Gli risponderei, "Viaggio perché sono un viaggiatore"

di onizuka90

L'autunno 2017 vede ricomparire nel panorama dell'animazione del Sol Levante un'opera che i più credevano morta e sepolta. Di "Kino no tabi" ormai la memoria si era persa e riposava soltanto nei cuori di una nicchia di fan fedeli quando, inaspettatamente, a giugno di quest'anno venne annunciata una nuova stagione e creato anche un sito ufficiale. Questa lieta novella offre lo spunto, che noi non ci lasciamo certo sfuggire, per una retrospettiva volta a ricordare la serie del 2003, nella speranza di instillare un pizzico di curiosità in chi magari non ha mai sentito parlare di tale piccolo gioiellino.
 

"Kino no Tabi - The Beautiful World" è una serie di tredici episodi diretta dall'ormai compianto Ryutaro Nakamura, nome che forse evocherà in più di qualcuno di voi il ricordo del ben noto, almeno tra gli appassionati, "Serial Experiments Lain". Ebbene, così come "Lain", anche "Kino no Tabi" è una serie che mantiene una cifra prettamente intellettuale e filosofica, risolvendosi in una visione forse non altrettanto criptica ed ermetica, ma sicuramente di grande interesse.

Il topos cardine attorno al quale ruota la serie è il tema del viaggio, un viaggio da non intendersi però come una sorta di "Odissea", con un'Itaca cioè a simboleggiarne il punto di arrivo e le cui tappe del percorso incarnano un progressivo avvicinarsi all'agognata meta; ma un viaggio più simile a quello dell'Ulisse dantesco, che ha "in sé" il suo stesso valore, un cammino che ha se stesso come scopo. In altre parole Kino è una viaggiatrice, nondimeno il suo non è un viaggio fatto per "giungere", perché Kino non ha una meta; il suo è un viaggio fatto per "viaggiare". Ciò, oltretutto, si riflette anche nella struttura della serie: i luoghi che progressivamente Kino incontra in ogni episodio non l'avvicinano ad un fine (meglio, ad un "finale"), l'anime è giustamente episodico, in quanto ogni tappa fa capitolo a sé stante. L'ultimo episodio non può essere l'ultimo, poiché non vi è un vero fine a questo vagabondare, e infatti esso non consiste altro che in una nuova tappa.
 
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Il viaggio di Kino pertanto è un viaggio senza scopo, senza un senso, e in tal guisa esso diviene una sorta di cinica metafora della vita: un vagabondare senza meta in cerca della verità, un guardare in faccia l'indecifrabilità del destino, un naufragare in un mare sconfinato domandandosi quale sia il senso del viaggio, quando ci si accorge che ogni meta è soltanto illusione. "Kino no Tabi" è un monumento dedicato al disincanto, un tempio nel quale, con algida imperturbabilità, si sacrifica il velo che cela la realtà e che copre le nostre convinzioni, palesandone le aporie e le insensatezze. Così, ogni tappa di siffatto percorso ci conduce entro gli estremi di una qualche problematica (sia essa di natura etica, filosofica o sociale), disertando però da qualsiasi prospettiva idealizzante, ma dandone invece una sagace e acuta critica.

Kino vive in un mondo di continuo mutamento: essendo al di fuori delle istituzioni e delle comunità che incontra nel suo cammino, i suoi unici confini sono il suo "spirito" e il "cielo stellato" che la sovrasta, il suo orizzonte pertanto si allarga, annientando ogni altro punto di riferimento. La prospettiva del viaggiatore è la prospettiva della libertà del disincanto, che non riconosce alcuna gerarchia fissa nelle cose mutevoli del mondo, tra giusto e sbagliato, tra falso e vero, tra senso e non-senso. Il viaggiatore, nella sua solitudine, impara a conoscere se stesso, e perciò ad essere anche un po' filosofo, cosciente della propria smarrita e accidentale posizione in un mondo che si rivela totalmente indifferente e indecifrabile. Proprio su questa prospettiva "terza" si riflettono di rimando le varie vicende di cui Kino è spettatrice, facendone affiorare per contrasto le relative contraddizioni. Come accade, ad esempio, nella vicenda degli uomini che lavorano sulle rotaie, che non possono comprendere da sè l'assurdità ed inutilità della loro condizione e della loro opera, solo Kino che è al di fuori della loro "contingenza" può accorgersene. Kino come lo specchio dell'irrazionalità del mondo, dunque, ma anche come ritratto della sua umanità, perché in fin dei conti il cercare di ordinarlo e razionalizzarlo, il volergli dare un senso, è "una malattia comune a tutti gli uomini", come dice anche il buon Hermes.
 
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"Kino no Tabi" si distingue, nel suo stile, per una freddezza e compostezza notevoli: si tratta di un'opera dalla grafica del tutto minimale e dai dialoghi spesso crudi e penetranti, il regime potrebbe risultare assai "pesante" e pertanto è da sconsigliare a chi è in cerca di una serie leggera che possa fornirgli mero intrattenimento. "Kino no Tabi" è una serie da seguire con la propria anima, una serie da vivere e da godere episodio dopo episodio, ponderando sui temi che porta alla nostra attenzione di volta in volta.


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